RIFLESSIONI E METAFORE
di Emilio Molinari
Se
qualcuno in vista delle elezioni europee volesse capire qualcosa di più del
lato oscuro dell'Unione Europea del fiscal compat e del vincolo del 3%, di
sicuro dovrebbe piantarla di “guardare” a Berlino. Dovrebbe prendersi una settimana di ferie e
correre in Bosnia: a Zenica, Tuzla, e soprattutto a Sarajevo, dove la protesta,
questa volta sociale ed operaia, attraversa le divisioni della guerra e della
pulizia etnica.
Andare
a Sarajevo viaggiando nella storia.
Da
dove 100 anni fa il colpo di pistola di Gravilo Princip dava il via alle due
guerre mondiali (la seconda è il continuo della prima), partorite dall'Europa
del “lassez fair capitalista”..., dei nazionalismi e del fallimento delle
socialdemocrazie.
Dall'inizio
del “secolo breve” degli orrori, ma anche delle Resistenze, del welfare e del
“mai più guerre”. Il secolo delle grandi mattanze, ma anche del ripensamento
che accantona il liberismo dalle Costituzioni e giura di fare dell'Europa un
continente unito, in pace e senza razzismi.
A
Sarajevo inizia il '900 e a Sarajevo finisce il 900, tra le macerie del sogno
di poter vivere assieme tra diverse culture.
Sarebbe
un viaggio negli omissis “democratici e di sinistra” che non sono solo le
foibe, ma secoli di storia. Nei ritorni del liberismo e nella cattiva coscienza
dell'Europa, sempre civilissima, sempre mittleuropea e sempre affascinata dalla
superiorità Germanica.
E
nelle italiche e provinciali convinzioni che civiltà e democrazia stanno sempre
a Nord, mentre i Balcani....sono sempre un buco nero....una barbarie da
ignorare, anche se vicini a noi più di
Parigi.
I
Balcani non stanno negli itinerari del popolo democratico e di sinistra, non
stanno nella nostra conoscenza, nei nostri interessi. Sono cancellati come
luoghi di vita vissuta da una umanità. Si va a fare il bagno in Croazia o a
caccia in Bosnia, ma non “vediamo”...Noi e i nostri ragazzi per “vedere”
andiamo a Londra, Berlino, Parigi, Barcellona...andiamo a cercare conferma del
nostro essere civilissimi ed europei e per nasconderci il fallimento, il
cannibalismo dei forti, l'autodistruzione delle comunità: sociali,
istituzionali, culturali e umane che avanza
La
Bosnia è il luogo dove se ti specchi vedi le brutture dell' anima europea
nascosta. Vedi le rotture, le grandi faglie della storia del continente che si
incontrano e si accavallano.
Chi
cerca l'identità europea deve andare a Sarjevo tra i brandelli che ancora
vivono nella realtà e nella memoria delle tante culture che l'hanno composta :
la greca, la romana, la slava, l'ottomana, la mittleuropea, l'ebraica,
l'italiana, la zingara.
Nel
Febbraio del 1994 iniziavo il mio viaggio dentro la Bosnia con Agostino Zanotti
e poi con Michele Nardelli entrambi, con altri giovani che vorrei tutti
ricordare, parte di una pattuglia di europei, portatori di un altra Europa: di
riconciliazione, di ambasciate della democrazia locale. Un viaggio più volte
ripetuto, lungo tutte le strade di Bosnia passando in mezzo a macerie reali e
metaforiche ancora fumanti, in mezzo ai volti dei criminali di guerra.
Chilometri
e lunghe discussioni tra di noi, per capire il senso di una tragedia che ci
colpiva occhi, mente e cuore attraverso la sistematica distruzione della “casa
del vicino” e i profughi. Per capire il senso delle domanda: di chi la colpa?
Del
crollo del comunismo? della fine del coperchio titoista che per decenni ha
nascosto antichi odi? Della mancata rielaborazione dei conflitti del passato?
Della criminalità organizzata e la corruzione politica nate nel ventre degli
apparati del comunismo? Dagli odi delle campagne verso le città? Dalla svendita
culturale degli intellettuali ai nuovi poteri etnico religiosi?.
Cercavamo
le colpe nel passato della ex Jugoslavia, nel fallimento del mondo al di la della “cortina”.
Tutte
cose vere, pertinenti, che non andavano nascoste e giustificate con il pensiero
del complotto occidentale.
Ma
che non coglievano il peso avuto dalla volontà liberista europea su quegli
avvenimenti e come questi fossero in forme diverse, l'anticipazione degli
attuali disastri economico-sociali dell'UE. della Grecia, del nostro paese
ecc.. Non coglievano il perchè, mentre infuriava la guerra, il marco tedesco
fosse (come l'euro) in quelle contrade, l'unico elemento unificante.
Avremmo
dato un senso diverso alla responsabilità della Germania, del Vaticano, dei
partiti europei, dell'ambientalismo e persino di alcune figure del pacifismo
italiano che soffiarono sul fuoco della separazione della Slovenia e della
Croazia dalla Serbia e poi della Bosnia
dove la separazione era impossibile.
Avremmo
capito che in quel momento l'Europa applicava la “teoria dello shock” di Milton
Freedman, attraverso la quale si impongono ai cittadini le “riforme di
struttura” che altrimenti troverebbero resistenze. Che lo “spezzatino delle
repubbliche” era veicolo per vincoli di bilancio, privatizzazioni dell'apparato industriale,
liquidazione di tutto ciò che è pubblico, svendita del patrimonio naturale.
E
che tutto ciò anticipava l'odierna attualità.
Lo
potevamo vedere già nei nostri viaggi a macerie ancora calde, nei grandi camion
pieni dei tronchi delle foreste disboscate, nei trafficanti di rifiuti
tossico/nocivi alla ricerca di discariche, nelle fabbriche smembrate e comprate
al prezzo di rottame dalle multinazionali.
Oggi
lo puoi vedere nell'assalto. con le dighe, all'acqua dei meravigliosi fiumi di
Bosnia da parte delle imprese tedesche
ed italiane, nelle miniere e nelle acciaierie privatizzate, negli operai
licenziati in massa, nella disoccupazione, nel territorio venduto ecc...
Un
water grabbing e un land grabbing silenzioso alle porte di casa nostra, che
oggi si estende alla Grecia, all'Italia e al suo patrimonio artistico e
naturale, che diventa politica nelle direttive e nel Bluprint, il piano europeo
delle acque che annuncia la monetizzazione di tutte le acque: dei fiumi, dei
laghi e delle falde dell'Unione Europea.
22
anni fa, in Bosnia, si misurava la volontà europea di tenere assieme tutte le
culture che l'hanno partorita; la
scommessa quindi di poterci unire noi, i fondatori dell'Unione e
trasformarci in effettiva Comunità di popoli, non più in competizione, non più
portatori di guerre, non vassalli del più forte economicamente o dei poteri
transnazionali. La scommessa fu persa e vinse l'avidtà.
Ecco
perchè andare Sarajevo è scoprire la metafora dell'odierno fallimento dell'UE,
dei nostri partiti, della nostra arrogante modernità, della cecità e della
logica di potenza della Germania che ancora si fa motrice di altre macerie.
Tornare
a Sarajevo sul ponte della Miljacka o a Mostar sul ponte della Neretva per
ripensare all'Europa non come Unione ma come Comunità di popoli e di beni
comuni.
Per
ricordare l'origine: la CECA.....Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio,
beni comuni fondamentali allora, per la ripresa dalla guerra e per l'idea che
il 900 aveva dello sviluppo. Per ripensare oggi ad una Comunità Europea
dell'Acqua e del Territorio. Una Comunità di popoli che fà i conti con il
limite delle risorse e con la crescita illimitata e che pensa ad una gestione
in comune dei beni essenziali del vivere e lavorare assieme: sobriamente e
nella dignità.
Emilio
Molinari
febbraio
2014