IL
POSTINO SMETTERA’ DI SUONARE ?
di Marco Bersani Attac% Italia
Dopo aver versato, per non
più di un minuto, lacrime di coccodrillo sui dati della disuguaglianza sociale
nel pianeta, forniti dal rapporto della ong Oxfam – le 85 persone più ricche
del mondo detengono una ricchezza equivalente a quella di 3,5 miliardi di
persone; l’1% del pianeta possiede il 50% della ricchezza mondiale- il ministro
Saccomanni, presente all’annuale Forum di Davos, è passato alle cose serie e,
in un incontro con i grandi investitori stranieri, ha annunciato l’avvio
dell’ennesimo piano di privatizzazioni, con in testa le Poste Italiane.
Senza senso del ridicolo,
è riuscito a dire che l’operazione, che prevede, per ora, la messa sul mercato
del 40% del capitale sociale di Poste, comporterà un’entrata di almeno 4
miliardi da destinare alla riduzione del debito pubblico.
Anche ai più sprovveduti
credo risulti chiara l’inversione del contesto : Saccomanni dice di voler
privatizzare le Poste per ridurre il debito pubblico, mentre è evidente come il
debito pubblico sia solo l’alibi –lo shock teorizzato da Milton Friedman- per
permettere la privatizzazione di un servizio pubblico universale.
Bastano
due semplici operazioni di matematica : la vendita del 40% di Poste Italiane
porterebbe il debito pubblico da 2.068 a 2.064 miliardi, con un entrata una
tantum non riproducibile, e nel contempo eliminerebbe un’entrata annuale
stabile di almeno 400 milioni/anno (essendo l’utile di Poste Italiane pari a 1
mld).
Ma, ovviamente, non c’è
dato che conti quando l’obiettivo è quello di dichiarare una vera e propria
guerra alla società, attraverso la progressiva spoliazione di diritti, beni
comuni, servizi pubblici e democrazia, all’unico scopo di favorire l’espansione
dei mercati finanziari.
E, d’altronde, la messa
sul mercato del 40% di Poste è la naturale prosecuzione di un processo di
trasformazione del servizio, in corso già da quando l’azienda dello Stato è
diventata una SpA : da allora abbiamo assistito a più riprese –tutte avvallate
dagli accordi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil di categoria- al progressivo
smantellamento del servizio postale universale, con relativo attacco alle sue
prerogative di uniformità di servizio su tutto il territorio nazionale, di
tariffe contenute e di soddisfacente qualità del recapito.
Ciò che si vuole
perseguire, con la definitiva privatizzazione, è lo smantellamento della
funzione sociale di Poste Italiane, attraverso la separazione di Banco Posta
dal servizio di recapito, trasformando il primo –già oggi ricettacolo di
molteplici attività finanziarie- in una vera e propria banca e mettendo sul
mercato il secondo.
Con la naturale
conseguenza che i servizi postali saranno garantiti da una miriade di soggetti
privati, solo laddove adeguatamente remunerativi (grandi città e grandi utenti)
e smantellati, o a carico della collettività con aumento incontrollato dei
costi, in ogni territorio dove il rapporto servizio/redditività non sarà
considerato adeguato.
Senza contare il fatto
che, con questa operazione, anche tutta la funzione di raccolta del risparmio
dei cittadini, oggi svolta dagli oltre 13.000 uffici postali, che convogliano
il denaro raccolto a Cassa Depositi e Prestiti, verrebbe messa a rischio o
profondamente trasformata.
Stiamo già sentendo le
consuete sirene ideologiche di accompagnamento : la vendita del 40% non
intaccherà il controllo pubblico, mentre nel capitale sociale verranno
coinvolti i lavoratori e i cittadini risparmiatori, in una sorta di azionariato
popolare e democratico.
Credo che tre decenni di
privatizzazioni abbiano già fornito gli elementi per confutare entrambe le tesi
: l’entrata dei privati nel capitale sociale di un’azienda pubblica ha sempre e
inevitabilmente comportato la trasformazione della parte pubblica in soggetto
finalizzato all’unico obiettivo del profitto; l’azionariato diffuso tra
lavoratori e cittadini, aldilà delle favole sulla democrazia economica, è
sempre servito a immettere denaro nell’azienda, permettendo agli azionisti
maggiori –i poteri forti- di poterla possedere senza fare nemmeno lo sforzo di
doverla comprare.
Ogni smantellamento di un
servizio pubblico universale consegna tutte e tutti noi all’orizzonte della
solitudine competitiva : ciascuno da solo sul mercato in diretta competizione
con l’altro.
Opporsi alle
privatizzazioni, oltre a fermare i processi di finanziarizzazione della
società, consente di riaprire lo spazio pubblico dei beni comuni e di un altro
modello sociale.
Perché il futuro è una
cosa troppo seria per affidarlo agli indici di Borsa.
Nessun commento:
Posta un commento