Acqua Napoli:
le indagini sull’Arin Spa legittimano la ripubblicizzazione
le indagini sull’Arin Spa legittimano la ripubblicizzazione
di Raphael Pepe Pubblicato venerdì 18 Gennaio 2013
La città di Napoli continua ad
essere al centro dell’attenzione per quanto riguarda la questione dell’acqua.
Un anno e mezzo dopo la netta vittoria ai referendum
promossi dal Forum Italiano dei movimenti per l’acqua (www.acquabenecomune.org),
un anno dopo la delibera conquistata dai movimenti per la trasformazione
dell’Arin Spa in ABC Napoli, azienda speciale di diritto pubblico; ecco che la
procura conferma quello sostenuto dai comitati rispetto ad aspetti poco chiari
dell’ex S.p.A. napoletana.
In un articolo del Mattino del 12 gennaio vengono
elencati 7 punti relativi alle “ombre sugli appalti”. Leggendo l’elenco,
abbiamo la dimostrazione di quanto abbiamo sempre affermato: una SpA, pur se di
proprietà 100% pubblica, risponde sempre al diritto privato e fa si che il più
importante dei beni comuni venga gestito con logiche del tutto privatistiche.
Per capire la situazione, occorre prevalentemente
ricordare qualche dettaglio della breve storia dell’Arin Spa. Nel 1996, il
sindaco Bassolino nomino a capo dell’allora azienda municipalizzata, un suo
fedelissimo Maurizio Barracco. Nel 1997, Barracco spinse il comune alla
privatizzazione senza successo, polemizzando con lo Bassolino, che però nel
2000 trasformò l’azienda in Spa, lasciandolo sempre alla presidenza del Cda.
Conserverà questa carica sopravvivendo a tutti i cambiamenti dello stesso, e
questo per 12 anni. Nel 2004, Bassolino, allora Presidente della Regione
Campania, fece una delibera aspettata da tempo da Barracco; prevedeva la
privatizzazione dell’acqua nell’ATO2 Napoli-Caserta. Il processo fu allora
bloccato dai comitati cittadini.
Per dieci anni, anche l’ex sindaco di Napoli, Rosa
Russo Iervolino ha difeso con grande convinzione la scelta del suo predecessore
di trasformare l’azienda S.p.a, sostenendo che questo statuto societario
permettesse una miglior gestione. La verità è che la condizione Spa rendeva
l’azienda più autonoma e permetteva giri di denaro più difficili da attuare con
lo statuto pubblico.
Dalla trasformazione del 2000 si è innescata una vera
e propria scatola cinese. In un primo luogo con l’assorbimento della Net
Service, società edile diventata una partecipata dell’Arin Spa; nel gruppo
quest’azienda aveva soprattutto il compito di curare la manutenzione degli
impianti. Perché assorbire la Net Service e dividere il servizio idrico
integrato tra due società quando una sola potrebbe curare tutti gli aspetti?
Un’idea ce l’avevamo, ma era difficilmente dimostrabile che lo scopo fosse di
permettere giri di denaro meno controllabili. In seno ai comitati, così come
per alcuni lavoratori, era chiaro che dietro queste scelte ci potessero essere
attività illecite.
Nel 2010 qualcosa ci fece capire che la nostra
“intuizione” e le nostre preoccupazioni fossero fondate. Tramite la Net
Service, il gruppo Arin Spa acquistava con denaro pubblico, la Marino
Costruzioni Srl, società con un Cda composto da 4 membri e che contava un
solo dipendente. Questa società, definita “fantasma”dai comitati, è stata
assorbita per evitarle il fallimento e si è insediata in via Argine, nella sede
del gruppo Arin.
La proposta di ripubblicizzazione dell’Arin si
contrapponeva direttamente al gioco di scatole cinesi e movimenti poco chiari
possibili con le S.p.a. Queste dinamiche di malagestione dei soldi pubblici
tramite strumenti di mercato emergevano (ed emergono tutt’ora) in tutta Italia
dalla sanità, ai rifiuti, dalle ferrovie, all’acqua.
Oggi la procura ci da ragione aprendo il dossier Arin
Spa. L’atto d’accusa di Achille Serra - presidente dell’Autorità garante
anticorruzione e trasparenza - contro l’Arin é lungo: «Emergono preoccupanti
anomalie soprattutto nelle procedure di affidamento degli appalti.
Risulterebbero disattesi gli obblighi imposti dal protocollo di legalità in materia
di prevenzione antimafia negli appalti pubblici». Ci sono poi gli appalti senza
pubblicazione di bando e affidati in maniera «troppo discrezionale», «mancanza
di requisiti delle ditte vincitrici».
Secondo l’accusa, sarebbero le due società partecipate,
la Net Service e la Marino Costruzioni ad essere state utilizzate come bracci
operativi soprattutto per le forniture e gli appalti. Sono riassumibili in sette punti le
questioni trasmesse alla procura:
- Affidamenti per l’assistenza e manutenzione della rete
mediante ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando e in
assenza di adeguate motivazioni e per importo superiore al milione
- Carenza di programmazione di lavori, forniture e
servizi
- Proroghe tecniche concesse in assenza di
presupposti di legge con conseguente distorsione della concorrenza
- Acquisto di materiale elettrico con procedure in
economia in assenza di presupposti normativi
- Procedura di gara per l’affidamento degli
appalti ai servizi di call service di sorveglianza non armata di siti aziendali
nella provincia di Caserta e di pulizia della sede aziendale di Napoli. Le tre
procedure sono state indette con il criterio dell’offerta economica più
vantaggiosa. Detta procedura conferisce alle commissioni di gara, che peraltro
sarebbero state costituite in moto irrituale, un’ampia discrezionalità nella
scelta del contraente nonostante che i servizi oggetto delle gare siano da
considerarsi standardizzati e tali, pertanto, da potere essere aggiudicati con
il criterio del prezzo più basso»
- Emergono anomalie anche in relazione alla gara
per l’appalto di fornitura energetica
- Albo dei fornitori scaduto
Oltre alle frode evidenziate, lo statuto delle Spa non
prevede la necessità di fare bandi di concorsi per assumere il personale e
permette quindi più clientelismo delle vecchie municipalizzate. A dimostrarlo
chiaramente, c’è lo scandalo di Parentopoli nella capitale; a Roma tutti i
servizi locali sono gestiti da Spa miste pubblico-private. A Napoli, l’acqua é
oggi gestita da un’azienda di diritto pubblico, ed é stato istituito un
comitato di sorveglianza per vigilare su quanto decide il Cda.
Da questo punto di vista il modello di gestione
attuato a Napoli é un modello da seguire, come lo é quello di Parigi.
Le notizie recenti dimostrano quanto voluto dai
comitati ed attuato dall’attuale amministrazione comunale fosse stato più che
necessaria; aspettiamo i primi risultati dell’azienda per dimostrare quanto i
cambiamenti avvenuti possano influire sulla qualità del servizio.
Alcuni dubitavano sulla necessità di trasformare
l’Arin Spa, in molti sostenevano che non ci fossero differenze tra una gestione
di tipo Spa pubblica e una gestione di diritto pubblico, in quanto fosse sempre
il Comune ad essere unico socio.
Oggi l’esempio di Napoli dimostra chiaramente che pur
se di proprietà del Comune, i servizi pubblici locali non possono essere
gestite da società che rispondono al diritto privato. Per un bene comune come
l’acqua, ci vuole la trasparenza la più totale.
In più città d’Italia, l’acqua é gestita da Società
per azioni cosiddette “pubbliche”; ci tocca insistere ancora oggi, un anno e
mezzo dopo la vittoria referendaria per vedere scelte precise da parte dei
sindaci di Milano, Torino, Venezia, e Palermo.
Nelle società che gestiscono l’acqua di questi comuni,
non essendoci partecipazione privata, tutto dipende solo dalle scelte
politiche. Ci vuole buonafede nel riconoscere che questa scelta non solo é
ormai attuabile ed assolutamente necessaria, ma é anche l’applicazione della
volontà espressa da 27 milioni di cittadini i 12 e 13 giugno del 2011.
Raphael PEPE
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