domenica 26 gennaio 2014

 
Cari attivisti/e, cittadini/e
che insieme a noi formarono nel 2011 il COMITATO CAMPANO 2 SI PER L'ACQUA BENE COMUNE.

Nel giugno del 2011, con una coalizione formata da comitati cittadini, sindacati, associazioni ambientaliste, altermondialiste, cattoliche, da centri sociali, e da tanti singoli/e cittadini/e, ma anche da alcune forze politiche presenti in un comitato di sostegno, abbiamo vinto la grande battaglia referendaria politica per i beni comuni e la democrazia.

Tutti insieme con il motto “L'Acqua é un diritto, non una merce”, abbiamo messo un freno ai processi di privatizzazioni e permesso la nascita di processi di ripubblicizzazioni del servizio idrico integrato in Italia. In particolare, proprio a Napoli, si é vista nascere la prima azienda ripubblicizzata, l’ABC Napoli.

A distanza di 2 anni, i tentativi di privatizzare o di preparare il terreno alla privatizzazione sono stati numerosi, tanto a livello nazionale che nelle regioni.

In Regione Campania, il governo Caldoro ha presentato a giugno un disegno di legge per riorganizzare gli ATO, in modo da favorire i processi di privatizzazione e in particolare di rafforzare il potere della Gori Spa, allargando il suo raggio di azione. 

Recentemente la Regione ha approvato la nuova legge che riorganizza gli Ato per la gestione della raccolta dei rifiuti. Insieme, queste due leggi tendono a favorire la creazione di multiutility e quindi all'insediamento di multinazionali per gestire i beni comuni della Regione Campania. 

Il Coordinamento Campano per la gestione Pubblica dell’Acqua chiama tutti i promotori del referenum del 2011 e tutti coloro che si vogliono fare, insieme a noi, custodi della vittoria referendaria a partecipare ad una grande assemblea per lanciare la mobilitazione per bloccare il ddl 204/2013 che riorganizza gli Ato per la gestione dell'acqua.
 
Incontriamoci all'Ex Asilo Filangieri

Vico Maffei 7 a Napoli

Venerdi 31 Gennaio 2013 alle ore 17

Coordinamento Campano per la GestionePubblica dell'Acqua
 
 
da Il Manifesto, Giovedì 23 Gennaio 2014
PRIVATIZZAZIONI «la Repubblica», ovvero
l’ideologia contro i servizi pubblici
di Beniamino Grandi

Che accade quando l’attacco ideologico ai servizi pubblici manipola consapevolmente i dati che propone? È interessante da questo punto di vista la lettura de «L’inchiesta» pubblicata in questi giorni da la Repubblica, con richiamo in prima pagina dal titolo «Quei 2 miliardi persi dalle società pubbliche» e ripresa con pagina intera all'interno con il titolo «La giungla delle società in mano pubblica : oltre 7.000 SpA, perdono 2,2 miliardi».

L’intera «rivelazione» della pagina si basa su un’indagine del ministero del Tesoro su tutte le società partecipate a qualsiasi titolo da comuni, province, regioni ed enti di diritto pubblico.

Manco a dirlo, l’indagine è lo spunto per l’ennesimo attacco al pubblico in generale «(...) se una holding privata vedesse che un terzo delle società di cui essa è azionista viaggia in rosso e che quelle perdite sono così pesanti da portare in rosso il saldo totale, le opzioni sarebbero chiare: vendere, oppure ristrutturare al più presto le imprese in perdita per arrestare l’emorragia; la terza ipotesi, fingere di non vedere perchè così conviene a quache manager corrotto, non atterrerebbe neppure sul tavolo» scrive con viva e vibrante indignazione l’autore dell’articolo Federico Fubini.

Come a dire che è già tutto chiaro: il pubblico è un disastro, mentre il metafisico privato sì che sarebbe in grado di garantire l'efficienza. Premesso che sono per la riappropriazione sociale di tutti i servizi pubblici, che vanno sottratti ai profitti privati e al clientelismo politico-manageriale che fin qui ha imperversato nel settore produttivo (vedi la razza padrona industriale di buona memoria) attraverso la partecipazione diretta dei cittadini e dei lavoratori alla loro gestione, una domanda sorge spontanea: ma se l’indagine riguarda le società partecipate dagli enti pubblici (dunque non le aziende speciali nè le SpA a totale capitale pubblico), da chi altro sono partecipate queste società, oltre agli enti pubblci? E la riposta è lapalissiana : sono società a capitale misto pubblico-privato, ovvero sono partecipate esattamente dai privati! Quelli che «(..) se un holding privata...» di cui sopra.

Ma, approfondiamo l’analisi, perché il titolo e il senso dell’articolo farebbero presagire un disastro senza confini. Ebbene, analizzando i dati riportati, si scopre che su 7340società partecipate, 2879 (47%) sono in attivo e 1249 (20%) sono in pareggio : quindi il 63% delle società analizzate non rientra nel disastro gridato per tutto l’articolo. Sono invece in perdita 2023 società pari al 33%. La perdita complessiva di queste ultime è pari a 2,2 miliardi di euro (come sbandierato nel titolo); ma se poi si va a vedere l’articolo nel dettaglio si scopre che del rosso complessivo, ben 1,5 miliardi è provocato da appena 23 società.

Infine, un ultimo dato che considero particolarmente rilevante: la partecipazione media degli enti locali nelle società in utile è pari al 29%, quella nelle società in pareggio è pari al 60%, quella nelle società in perdita è pari al 15%.

Mi fermo qui, anche perchè non è certo la contabilità delle quote di capitale a determinare la funzione pubblica e sociale di un servizio. Ma l’articolo de la Repubblica è senz’altro la dimostrazione che quando si vuole impostare una campagna ideologica, la manipolazione della realtà è d’obbligo.

venerdì 24 gennaio 2014

IL POSTINO SMETTERA’ DI SUONARE ?
di Marco Bersani Attac% Italia
 
 
Dopo aver versato, per non più di un minuto, lacrime di coccodrillo sui dati della disuguaglianza sociale nel pianeta, forniti dal rapporto della ong Oxfam – le 85 persone più ricche del mondo detengono una ricchezza equivalente a quella di 3,5 miliardi di persone; l’1% del pianeta possiede il 50% della ricchezza mondiale- il ministro Saccomanni, presente all’annuale Forum di Davos, è passato alle cose serie e, in un incontro con i grandi investitori stranieri, ha annunciato l’avvio dell’ennesimo piano di privatizzazioni, con in testa le Poste Italiane.

Senza senso del ridicolo, è riuscito a dire che l’operazione, che prevede, per ora, la messa sul mercato del 40% del capitale sociale di Poste, comporterà un’entrata di almeno 4 miliardi da destinare alla riduzione del debito pubblico.
Anche ai più sprovveduti credo risulti chiara l’inversione del contesto : Saccomanni dice di voler privatizzare le Poste per ridurre il debito pubblico, mentre è evidente come il debito pubblico sia solo l’alibi –lo shock teorizzato da Milton Friedman- per permettere la privatizzazione di un servizio pubblico universale.

Bastano due semplici operazioni di matematica : la vendita del 40% di Poste Italiane porterebbe il debito pubblico da 2.068 a 2.064 miliardi, con un entrata una tantum non riproducibile, e nel contempo eliminerebbe un’entrata annuale stabile di almeno 400 milioni/anno (essendo l’utile di Poste Italiane pari a 1 mld).
Ma, ovviamente, non c’è dato che conti quando l’obiettivo è quello di dichiarare una vera e propria guerra alla società, attraverso la progressiva spoliazione di diritti, beni comuni, servizi pubblici e democrazia, all’unico scopo di favorire l’espansione dei mercati finanziari.

E, d’altronde, la messa sul mercato del 40% di Poste è la naturale prosecuzione di un processo di trasformazione del servizio, in corso già da quando l’azienda dello Stato è diventata una SpA : da allora abbiamo assistito a più riprese –tutte avvallate dagli accordi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil di categoria- al progressivo smantellamento del servizio postale universale, con relativo attacco alle sue prerogative di uniformità di servizio su tutto il territorio nazionale, di tariffe contenute e di soddisfacente qualità del recapito.
Ciò che si vuole perseguire, con la definitiva privatizzazione, è lo smantellamento della funzione sociale di Poste Italiane, attraverso la separazione di Banco Posta dal servizio di recapito, trasformando il primo –già oggi ricettacolo di molteplici attività finanziarie- in una vera e propria banca e mettendo sul mercato il secondo.

Con la naturale conseguenza che i servizi postali saranno garantiti da una miriade di soggetti privati, solo laddove adeguatamente remunerativi (grandi città e grandi utenti) e smantellati, o a carico della collettività con aumento incontrollato dei costi, in ogni territorio dove il rapporto servizio/redditività non sarà considerato adeguato.
Senza contare il fatto che, con questa operazione, anche tutta la funzione di raccolta del risparmio dei cittadini, oggi svolta dagli oltre 13.000 uffici postali, che convogliano il denaro raccolto a Cassa Depositi e Prestiti, verrebbe messa a rischio o profondamente trasformata.

Stiamo già sentendo le consuete sirene ideologiche di accompagnamento : la vendita del 40% non intaccherà il controllo pubblico, mentre nel capitale sociale verranno coinvolti i lavoratori e i cittadini risparmiatori, in una sorta di azionariato popolare e democratico.
Credo che tre decenni di privatizzazioni abbiano già fornito gli elementi per confutare entrambe le tesi : l’entrata dei privati nel capitale sociale di un’azienda pubblica ha sempre e inevitabilmente comportato la trasformazione della parte pubblica in soggetto finalizzato all’unico obiettivo del profitto; l’azionariato diffuso tra lavoratori e cittadini, aldilà delle favole sulla democrazia economica, è sempre servito a immettere denaro nell’azienda, permettendo agli azionisti maggiori –i poteri forti- di poterla possedere senza fare nemmeno lo sforzo di doverla comprare.

Ogni smantellamento di un servizio pubblico universale consegna tutte e tutti noi all’orizzonte della solitudine competitiva : ciascuno da solo sul mercato in diretta competizione con l’altro.
Opporsi alle privatizzazioni, oltre a fermare i processi di finanziarizzazione della società, consente di riaprire lo spazio pubblico dei beni comuni e di un altro modello sociale.

Perché il futuro è una cosa troppo seria per affidarlo agli indici di Borsa.
 
 

domenica 12 gennaio 2014

 
Commento sui provvedimenti relativi ad aziende speciali, istituzioni e società partecipate contenuti nella Legge stabilità 2014 n. 147/2013

 La legge di stabilità 2014 (n. 147/2013), nei commi 550-569 (vedi allegato) ha riscritto tutta una serie di norme relative al rapporto tra Pubbliche Amministrazioni Locali e Aziende speciali, istituzioni e società partecipate dalle stesse. Esse innovano significativamente sia rispetto ad impostazioni precedenti relative all’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti locali di tali forme gestionali, ma anche rispetto alle norme che erano entrate inizialmente nella prima stesura della legge di stabilità stessa.

1.In termini generali, i commi da 550 a 569 della legge di stabilità intervengono sull’insieme dell’universo delle aziende speciali, istituzioni e società partecipate dipendenti dagli Enti Locali, a prescindere dall’oggetto della loro attività: comprendono, ad esempio, sia le forme gestionali che riguardano i servizi pubblici locali (acqua, gas, igiene ambientale, trasporto pubblico locale, energia, ecc.) sia quelle relative alle attività strumentali (servizi informatici, di pulizia, manutenzione ecc.). L’idea portante lì contenuta è quella di valutare l’economicità della gestione: in buona sostanza, il riferimento di fondo è quello che aziende speciali, istituzioni e società partecipate devono avere un risultato economico positivo, altrimenti ciò comporta serie conseguenze sull’Ente Locale di riferimento. In generale, senza entrare in dettagli troppo tecnici, per risultato economico si intende il risultato di esercizio (o il saldo finanziario) di bilancio, mentre per le società che svolgono servizi pubblici a rete di rilevanza economica esso deriva dalla differenza tra valore e costi della produzione. Se si ha un risultato economico negativo, a partire dal 2015, gli Enti Locali proprietari o partecipanti sono obbligati ad accantonare in un apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Inoltre, a decorrere dall’esercizio 2017, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti, i soggetti gestionali diversi dalle società che svolgono servizi pubblici locali sono posti in liquidazione.

Poi, per le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti o che svolgono servizi strumentali vengono estese, con un atto di indirizzo dell’Ente Locale controllante, le limitazioni di carattere contrattuale e occupazionale che riguardano i lavoratori degli Enti Locali di riferimento (blocco parziale del turn-over e di contenimento dei trattamenti contrattuali). Sempre in tema di personale, si stabilisce che se la spesa relativa ad esso, comprendendo, oltre ai lavoratori dell’Ente Locale, anche quelli delle aziende speciali, istituzioni e società a partecipazione pubblica totale o di controllo, supera il 50% della spesa corrente, non si può procedere ad alcuna ulteriore assunzione di personale. Si stabiliscono inoltre processi di mobilità dei lavoratori tra società controllate, anche senza il consenso dei lavoratori stessi.

Infine, i provvedimenti contenuti nella Legge di stabilità abrogano i riferimenti all’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti locali per le aziende speciali, istituzioni e società partecipate e il divieto, introdotto con la spending review, di dar vita a nuove aziende speciali o società, nonché alla messa in liquidazione delle società strumentali e delle società partecipate nei Comuni con meno di 50.000 abitanti.

2. L’insieme di queste norme si differenzia in modo significativo da precedenti impostazioni. In particolare, con questo nuovo meccanismo, non si parla più di assoggettamento di aziende speciali e società a totale capitale pubblico al patto di stabilità degli Enti Locali. Quell’impostazione, che era stata avanzata dal Governo Monti con il decreto “liberalizzazioni” del gennaio 2012, viene dunque messa da parte, per affermare, invece, un approccio per cui i singoli soggetti gestionali devono presentare un risultato economico positivo. E’ bene peraltro ricordare che l’assoggettamento al Patto di stabilità era solo una previsione del governo Monti e non è mai stato attuato, perché doveva entrare in vigore con un decreto ministeriale da emettere entro il 31 ottobre, decreto che poi non è mai uscito. Quest’accantonamento dell’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti Locali fa venir meno uno degli alibi “preferiti” dalle Amministrazioni locali che non volevano procedere alla ripubblicizzazione dei servizi pubblici. Esse accampavano il ragionamento che costruire un unico bilancio consolidato tra Ente Locale e soggetti gestori (perché ciò implicava l’assoggettamento al Patto di stabilità) avrebbe esteso una serie di vincoli alle Aziende speciali (a partire dall’impossibilità di ricorrere all’indebitamento e quindi a effettuare gli investimenti) che ne avrebbero minato il funzionamento. Allo stesso modo, questa nuova impostazione fa giustizia della teorizzazione della situazione di “maggior sfavore” della gestione tramite l’Azienda speciale rispetto a quella della S.p.A. a totale capitale pubblico “in house”. Infatti, ormai, queste due soluzioni gestionali sono equiparate e, ora, dal punto di vista dei privatizzatori, semmai la vera differenza, in termini di minori vincoli, soprattutto rispetto al trattamento dei lavoratori (questione, però, controversa e affrontabile), passa tra S.p.A. mista, da una parte, e S.p.A. a totale capitale pubblico e Azienda speciale, dall’altra.

3. Va però notato che anche l’impostazione contenuta nella Legge di stabilità non è meno pericolosa di quella proposta precedentemente. L’anima privatizzatrice è ben presente anche in questo nuovo impianto. Infatti, ciò è reso evidente da almeno tre punti: il primo è che si prende come riferimento unicamente l’andamento economico positivo della gestione dei servizi, ribadendo una concezione economicista per cui questo parametro è la lente cui si guarda, senza misurarsi con un dato di efficacia ed efficienza sociale dei servizi. In secondo luogo, è profondamente sbagliato assumere l’indicatore dell’andamento economico della gestione in modo uniforme, senza differenziare l’analisi per settori o aree territoriali. Per esemplificare, il trasporto pubblico locale è strutturalmente in perdita, ne è pensabile che lì le tariffe possano coprire i costi del servizio, così come è profondamente differente la situazione di molte parti del Mezzogiorno rispetto ad altre aree del Paese. Soprattutto - ed è questo il terzo motivo - non può non sfuggire il provvedimento draconiano per cui, a partire dal 2015, se un soggetto gestore è in perdita, l’Ente locale deve accantonare in un fondo vincolato l’importo corrispondente. Non ci vuole molto a prevedere che, d’ora in avanti, il nuovo alibi delle Amministrazioni che vogliono privatizzare si tramuterà da “ non si può fare l’Azienda speciale perché viene sottoposta al patto di stabilità” al nuovo “non si può fare l’Azienda speciale perché, se va in perdita, ci costringe ad un ripiano impossibile per le nostre casse, che sono già vuote”. Ragionamento che, peraltro, è più facile da smontare del precedente, perché anche noi assumiamo il tema dell’esistenza del fattore dell’efficienza economica, senza mai dimenticare che, in primo luogo, i servizi devono rispondere a criteri di efficacia ed efficienza sociale e che essa va perseguita sapendo leggere le differenze e i diversi punti di partenza esistenti.

Insomma, la nostra battaglia va avanti, su un terreno che può essere meno impervio del precedente, ma che avrà bisogno della passione e dell’intelligenza collettiva che da sempre ci anima.

I commi interessati della Legge di stabilità

mercoledì 8 gennaio 2014

NO PASARAN!
 
    
  
 
Stamattina la Gori ha cercato ancora una volta di prendere possesso degli impianti del servizio idrico di Roccapiemonte. Non c'è riuscita....
Ad accoglierli un presidio di cittadini decisi a bloccare questo passaggio... E' chiaro che la GORI non demorderà, ma è altrettanto sicuro la resistenza dei cittadini di Roccapiemonte e di altre città, oltre ai Sindaci della Rete, che porranno in essere ulteriori azioni di resistenza e per riportare la gestione del SII in mano pubblica...
 
 

 

giovedì 2 gennaio 2014

Assassinato Gilberto Daza attivista dell’acquedotto comunitario del Municipo di Sucre in Colombia


Il 28 dicembre uno di noi è stato barbaramente ucciso. Gilberto Daza, di fronte alla moglie e ai suoi tre figli, è stato freddato con due colpi alla nuca da un sicario che lo attendeva sulla porta di casa. Gilberto era consigliere del Municipio di Sucre e insieme all’Associazione contadina dei Bienandantes e all’Assemblea dell’acquedotto comunitario, era impegnato per la difesa del territorio, contro la privatizzazione dell’acqua e lo sfruttamento minerario del Macizo colombiano del Cauca.

Avremmo voluto augurare a tutte e tutti un buon 2014, partendo, in positivo, dalle nostre migliori esperienze che hanno contraddistinto il 2013. Un anno per tanti aspetti orribile, ma in cui non sono mancati squarci di luce e crepe di felicità. Come la Carovana internazionale di ottobre in Colombia a cui è seguito il “levantamento” indigeno del 12 ottobre; oppure la semplice quanto toccante  esperienza di due militanti di Yaku in Bolivia, Greta Rigon e Anna Postal, che hanno assaporato il grande cuore delle comunità di Cochabamba, la città boliviana ribelle della prima e indimenticata “Guerra dell’Acqua” del 2000.

Ma l’assassinio di Gilberto Daza, un’esecuzione in piena regola, ci chiama a un grido di rabbia comune.

L’ultima volta lo avevamo incontrato proprio ad ottobre, a Sucre, con la delegazione internazionale partecipando all’Assemblea degli utenti dell’acquedotto comunitario. Abbiamo scritto anche un articolo
Un acquedotto nel conflitto , sull’esperienza di questa piccola comunità, nel dipartimento colombiano del Cauca, che è riuscita a gestire un acquedotto in modo collettivo e autonomo tra gli spari del conflitto e nel corso di un processo di pace -  a Cuba il dialogo tra le Farc e il governo colombiano è iniziato da più di un anno – che sembra aver acutizzato e inasprito gli episodi di violenza in tutto il Paese.

Ora dopo le tante minacce anonime rivolte all’Assemblea dell’acquedotto e all’associazione contadina dei Bienandantes – entrambe partecipano al progetto di cooperazione internazionale promosso da Yaku
Agua Justicia y Paz in Colombia  – i sicari sono passati ai fatti. E Gilberto è stato ucciso da un uomo vestito di nero e il volto coperto da un passamontagna. Non sappiamo chi sia. Non sappiamo i nomi dei mandanti. Ma è certo che Gilberto è stato ucciso per aver difeso il suo territorio, l’acquedotto comunitario, e la dignità del piccolo Municipio di Sucre. Una comunità estranea al conflitto che insan! guina il Paese da più di 50 anni, ma che ha saputo scegliere la via della pace e dell’autonomia, partendo dalla riappropriazione dell’acquedotto comunitario e dalla difesa dei beni comuni.
 
E a chi aveva interessi e concessioni in quelle montagne ricche di acqua e minerali, certo è un percorso che non è piaciuto.
Siamo vicini alla famiglia di Gilberto, alla comunità di Sucre, alle compagne e ai compagni di Justicia y Paz che insieme a noi seguono il percorso degli acquedotti comunitari nei luoghi di conflitto in Colombia.
Sappiamo che nulla potrà restituire Gilberto alla sua famiglia. Sappiamo anche che nulla potrà arrestare il recupero della dignità della Comunità di Sucre.
E anche noi ci stringiamo nello stesso abbraccio che tante donne, uomini, bambine e bambini di Sucre hanno voluto dare a Gilberto, per ricordarci che nel 2014 saremo ancora insieme.

COMUNICATO STAMPA
Anno nuovo, dinamiche vecchie: l'Authority per l'energia e il gas persevera nella violazione dei referendum sull'acqua

L'Autorità per l'Energia Elettrica ed il Gas ha nuovamente colpito nel silenzio delle feste. Il 27 Dicembre, infatti, fa approvato il Metodo Tariffario Idrico 2014-2015 confermando quanto contenuto nel Metodo Tariffario Transitorio e sancendo nuovamente, nei fatti, la negazione dei Referendum del Giugno 2011.
Nonostante un prolisso richiamo alle norme passate, nello specifico le sentenze della Corte Costituzionale, l'Autorità ripropone lo stesso calcolo per cui la remunerazione del capitale investito, abrogata dai referendum, viene camuffata sotto la denominazione “oneri finanziari”, ma non cambia la sostanza: profitti garantiti in bolletta.

Le criticità quindi rimangono tutte, compresa l'incapacità del nuovo metodo tariffario di garantire gli investimenti necessari al comparto idrico. Investimenti che, come i numeri dimostrano da più di 20 anni, non trovano spazio nel metodo del full cost recovery, cioè nell'assioma che vuole tutti i costi del servizio coperti dalla bolletta, profitti del gestore compresi.
L'Autorità cosiddetta “indipendente”, anche se il suo sostentamento è pagato dagli Enti gestori del servizio idrico, continua quindi ad agire sulla base di un'impostazione neoliberista e privatizzatrice, condivisa dagli ultimi governi che si sono avvicendati nel Paese.

Ancora una volta, dietro una delibera amministrativa, si cela una volontà politica, ovvero tutelare gli interessi di pochi e ricchi privati, a scapito degli interessi della collettività e del tessuto sociale sempre più impoverito ed attaccato nella crisi in cui viviamo.
Ancora una volta lo si fa calpestando il voto democraticamente espresso da 27 milioni di italiani.

Di questo riteniamo i membri dell'AEEG direttamente responsabili e per questo chiediamo le loro dimissioni oltre al ritiro del nuovo metodo tariffario e alla revoca delle competenze dell'Autorità in materia di servizio idrico.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha inoltre promosso un ricorso presso il TAR della Lombardia contro il reinserimento della remunerazione in bolletta, che vedrà la sua prima udienza il prossimo 23 gennaio, le cui ragioni verranno ampiamente esposte nel corso del Convegno che si terrà a Milano il 18 gennaio, insieme alle proposte del Forum per il finanziamento del servizio idrico.

L'alternativa esiste, gli italiani e le italiane l'hanno già scelta con i referendum di giugno 2011 e continueremo a batterci affinché le leggi del mercato e del profitto escano dalla gestione dell'acqua e dei beni comuni.
Perchè si scrive acqua si legge democrazia e vogliamo ripubblicizzarle entrambe.

Roma, 02/01/2014